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A Paolo Emilio Poesio, Il critico di Firenze

14 dicembre 2020

Vent’anni fa, alla vigilia di 85 anni, calava il sipario sulla vita di Paolo Emilio Poesio, uno degli ultimi grandi uomini di teatro del Novecento. Decano dei critici italiani, fautore della nascita dei teatri stabili, autore di studi importanti sul teatro di regia, dramaturg, traduttore, Poesio è stato una figura chiave per la rinascita del teatro moderno nel dopoguerra. In gioventù fu anche poeta e regista raffinatissimo, nonché insegnante di recitazione, tra il ’48 e il ’50, alla prestigiosa scuola di via Laura a Firenze.

A teatro andò per la prima volta a tre anni. La prima recensione la scrisse per una rivista dei Padri Scolopi, quando studiava al collegio della Badia Fiesolana. Fra i mille aneddoti della sua carriera, ce n’è uno che racconta di una compagnia che ritardò di un giorno il debutto pur di averlo in sala. Niente di strano, giacché, per decenni, il successo di uno spettacolo è dipeso da lui. Le sue cronache teatrali su La Nazione erano attese con trepidazione da attori e registi, che se pure sapevano di non andare incontro alla stroncatura impietosa, si aspettavano un’analisi scrupolosa e onesta, alla quale non sfuggiva nessun elemento della messa in scena. Osservatore attento, elegante e ironico, arricchiva il testo con la sua spiccata personalità. Perché Poesio, prima che un critico militante, era un signore; prima che un’enciclopedia vivente, un uomo profondamente innamorato del suo mestiere.

Con Georges Simenon e Ivo Formigli, in tipografia a La Nazione

Seppe vivere il teatro, oltre che in poltrona, anche nei camerini. Con intimità e discrezione. Fu anzitutto consigliere, interlocutore, guida (se non maestro) di molta gente di teatro, dai più illustri ai giovani emergenti. Ma anche uno straordinario talent scout. Avviò alle scene Paolo Poli e Giorgio Albertazzi, per fare qualche nome. Quest’ultimo lo fece debuttare giovanissimo, nel 1949, nella Calandria del Bibbiena, di cui firmò la regia.

Giorgio Albertazzi, Paolo Emilio Poesio, Anna Proclemer. Teatro della Pergola, 1964
Incontro con il pubblico. Teatro della Pergola, 1978

Il Teatro della Pergola fu la “casa” prediletta di Poesio. Si era a lungo dibattuto per la sua rinascita nel corso del Novecento. Seguiva gli spettacoli dal palco numero 10 del secondo ordine, costellato nel corso degli anni di un’aura mitica. Da lì partivano gran parte delle sue critiche teatrali, scritte a caldo, subito dopo la chiusura del sipario, magiche alchimie di cultura, passione e impegno di cronaca. Il critico di Firenze abitava assiduamente la Pergola, non solo di sera. Promotore della Rassegna dei Teatri Stabili, artefice di un corso di storia del teatro per l’Università dell’Età Libera, condusse anche, con grande fortuna, una serie di incontri sulla critica teatrale per il club ETI21, i giovani abbonati della Pergola. Affabulatore affascinantissimo, quando parlava di teatro, raccontando magari qualche aneddoto, polarizzava l’attenzione su di sé come un vero mattatore.

L’archivio e la ricchissima biblioteca personale di Poesio ritrovano ora una seconda casa al Teatro della Pergola. Oltre cinquant’anni di vita teatrale raccolta con puntigliosa e amorosa cura. Non solo, in una delle stanze del Centro Studi è stato ricostruito il suo studio, così come l’aveva lasciato nell’abitazione fiorentina di piazza Ferraris. Un’altra stella buona che con la sua dote umana e intellettuale vigila e arricchisce i tesori della Pergola.

Adela Gjata