Il superpotere del coraggio. Intervista a Federico Bellini
15 maggio 2025
di Angela Consagra
Partendo dal titolo dello spettacolo, Wonder Woman: com'è avvenuta questa scelta?
William Moulton Marston, conosciuto anche con lo pseudonimo di Charles Moulton, è uno psicologo, fumettista e inventore statunitense. È noto per essere il creatore del personaggio di Wonder Woman: un’eroina che, utilizzando il lazo per catturare i nemici, lotta contro le ingiustizie. William Moulton Marston è anche il creatore della macchina della verità: uno strumento che, sostanzialmente, costringe a dire il vero. È stato un esponente del femminismo. Le sue due compagne, la moglie Elizabeth Holloway Marston, e la loro partner poliamorosa Olive Byrne, hanno influenzato l’invenzione di questo personaggio femminile così forte e libero. Ci sono varie analogie, quindi, tra il titolo e i fatti che vengono raccontati sulla scena: la vittima dello stupro di gruppo, le cui vicende vengono narrate da quattro giovani donne, è una Wonder Woman contemporanea in lotta per stabilire una verità che viene costantemente negata. Antonio Latella ed io volevamo raccontare una sorta di Wonder Woman che appartiene alla nostra realtà, una donna meravigliosa e moderna, perché capace di andare avanti e sconfiggere gli ostacoli utilizzando un importante superpotere: il coraggio.
Dal punto di vista della scrittura, è difficile partire da un fatto di cronaca per trasformarlo poi in un testo teatrale? Che tipo di lavoro occorre?
Occorre una certa inventiva per trasportare una storia sul palcoscenico, nel senso che, come accade anche in molti testi della tradizione che ci arrivano tradotti, quasi sempre si parte da un fatto di cronaca. Io penso, per esempio, a un’opera come Hamlet… Sviluppando il racconto dalla realtà si cerca di trovare, sotto il profilo autoriale, un linguaggio giusto che serva alla composizione drammaturgica. Nel caso specifico di questo spettacolo, la lingua che adottiamo è particolare; infatti, è come se le parole seguissero il ritmo cardiaco della ragazza protagonista della vicenda, tutte le varie accelerazioni e decelerazioni del suo cuore, mentre si trova ad affrontare la ricerca della giustizia. Un testo che è quasi una punteggiatura, in qualche modo.
E come si incrocia la scrittura con la regia? Qual è l’elemento registico fondamentale presente in scena?
Trattandosi di una sorta di denuncia, in linea di massima abbiamo cercato di togliere tutti gli elementi spettacolari. Ciò che si vede in scena è uno spettacolo frontale, con luci di sala accese. Il tentativo è di andare oltre i meccanismi della rappresentazione, in modo da evitare una spettacolarizzazione del dolore. Il rischio da questo punto di vista è molto alto; quindi, abbiamo voluto evitare di creare un incontro con il pubblico che fosse teatrale in senso stretto.
“È come se le parole in scena seguissero il ritmo cardiaco della ragazza protagonista della vicenda, tutte le varie accelerazioni e decelerazioni del suo cuore”
È proprio come se seguissimo l’assunto: doniamo una visione e voi la ricevete. Lo spettacolo inizia con una sintesi della sentenza: le giudici della Corte d’Appello chiamate a giudicare uno stupro di gruppo decidono di assolvere gli imputati perché la ragazza in questione risultava “troppo mascolina” per essere attraente e causa di una violenza sessuale. Dalla teatralizzazione sulla scena di questa sentenza, fatta con attenzione estrema, si passa all’invenzione di una possibile storia che riguarda la vittima. In realtà, non abbiamo informazioni su di lei e su come siano andate in seguito le cose. Anche se la sentenza è stata rovesciata dalla Corte di Cassazione. Abbiamo pensato che fosse doveroso avere una presa di posizione netta rispetto a questa vicenda: il caso giudiziario era talmente eclatante e la sentenza talmente folle, come dichiarato anche dagli stessi organi giudiziari.

La scrittura destinata alla scena, per definirsi tale, che particolarità deve avere? Qual è la specificità di scrivere per il teatro rispetto agli altri generi letterari? Quando scrive pensa mai ai suoi potenziali lettori?
Sì, ci penso sempre. Mi accorgo di fermarmi a ipotizzare su come gli spettatori potranno reagire a quello che scrivo. Soprattutto, la risposta del pubblico cambia tantissimo da nazione a nazione. All’estero il pubblico è disposto ad accettare alcuni stilemi che in Italia, al contrario, non passerebbero mai. In particolare, questo spettacolo è nato in Germania: la prima versione risale al 2021 ed è tedesca. Rispetto all’Italia, i tedeschi hanno una certa difficoltà, per esempio, con il pietismo, con tutto ciò che può risuonare troppo sentimentale. In Germania si preferisce ricorrere spesso all’ironia, anche se nel caso di Wonder Woman è difficile ironizzare. In ogni caso, quando ci si accinge a scrivere, fondamentale è cercare di trovare un gancio con il pubblico. Se si scrivono cose piuttosto complesse, inoltre, bisogna tenere sempre a mente che gli spettatori arrivano e hanno un primo ascolto diretto: il teatro non è un film o un libro, su cui si può ritornare indietro. Ecco perché un primo livello di comprensione deve arrivare a tutti. Per i piani di lettura ulteriori, ognuno può accedervi a seconda della propria sensibilità e preparazione. Se in scena c’è un gesto significativo, un’azione performativa o un dialogo particolarmente incisivo, in qualche modo il pubblico è pronto a comprendere. Bisogna tentare di andare sempre incontro al pubblico, che non vuol dire banalizzare il registro narrativo. Un’opera è composta da più livelli comunicativi.
Se dovesse descrivere che cos’è il teatro, che cosa direbbe? Una sua definizione.
Il teatro è un luogo d'incontro, in cui esseri umani hanno la necessità di sentire e ascoltare altri esseri umani. Ed è l'unico strumento comunicativo che non morirà mai, proprio per questo motivo.
“Volevamo raccontare una sorta di Wonder Woman che appartiene alla nostra realtà, una donna meravigliosa e moderna, perché capace di andare avanti e sconfiggere gli ostacoli”