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Attraverso De André. Intervista a Neri Marcorè

16 febbraio 2024

di Angela Consagra

La Buona Novella è un’opera polifonica che, mediante metafora e allegoria, parla dell’arroganza del potere, il quale mal digerisce gli uomini troppo liberi di pensiero”

Neri Marcorè

 

 

Come ha affrontato la messinscena di questo concept album scritto da Fabrizio De André nel 1970? 

Con un po’ di coraggio e anche di incoscienza… Sicuramente con il dovuto rispetto verso questo grandissimo intellettuale, quindi occorre un’estrema cura nell’avvicinarsi alla sua opera e noi ce la mettiamo tutta. Ricordo quando mia zia, molto appassionata di De André, mi regalò il vinile de La Buona Novella: avevo più o meno 13 anni e ne rimasi quasi sconcertato, era difficile per me da comprendere in tutte le sue sfaccettature. Confesso che dopo averlo ascoltato un paio di volte finì nelle retrovie perché a quel tempo non fui conquistato né dalla musica né dai testi che componevano quello che può essere considerato uno dei primi, se non addirittura il primo, concept album della discografia italiana. Forse non era l’approccio più indicato, soprattutto a quell’età, per iniziare a scalare metaforicamente quella montagna che Faber, come lo chiamava il suo amico Villaggio, rappresenta ancora oggi. Con il tempo ho cominciato ad apprezzare le sue canzoni, la musica mi è apparsa in tutto il suo fascino: all’epoca l’avevo messa in secondo piano rispetto ai dischi di altri artisti che mi sembravano più rock e vivaci. Invece, grazie al doppio live suonato con la Pfm (al primo ascolto di un pezzo mi colpisce sempre più l’arrangiamento musicale, tra armonia e melodia; solo in un secondo momento pongo attenzione al testo) mi venne naturale esplorare la sua produzione fino ad allora e continuare a seguirlo nei dischi successivi, appassionandomi al suo sguardo originale sul mondo, alla cura delle parole, a quella voce profonda al cui registro, con il passare degli anni, ho finito curiosamente per aderire. Al punto che circa dieci anni fa ho cominciato a eseguire parte del suo repertorio in concerti dal vivo, con la difficoltà di dover limitare la scaletta a una ventina di pezzi. Con Giorgio Gallione, il regista al quale sono legato da una collaborazione ormai ventennale, dopo aver messo in scena Gaber e molti altri autori, decidemmo di intrecciare le canzoni, le riflessioni di De André con le invettive e il pensiero di Pasolini, nello spettacolo Quello che non ho. L’impatto fu folgorante, tant’è che il cerchio immaginario non poteva che essere chiuso con una rappresentazione su De André o, per meglio dire, attraverso De André.  Affrontiamo adesso La Buona Novella con la consapevolezza di trovarci di fronte a un lavoro che conserva molta modernità, anche se tutto è cambiato rispetto a quel periodo storico. Sono mutate le circostanze, la società, i nomi e i volti di quegli anni che non ci appartengono più. Però, se parliamo di archetipi, come esseri umani ci muoviamo sempre intorno agli stessi temi: in questo caso, il potere e chi vi si ribella sono le due forze contrapposte principali.

 

 

Su quali vicende si concentra La Buona Novella?

Il fatto che la donna sia al centro della narrazione – non ci si focalizza soltanto sulla figura di Gesù, ma anche su quella di Maria – rende questo spettacolo contemporaneo e comunque sempre moderno. La donna non smetterà mai di essere protagonista, in qualsiasi tempo. Oggi purtroppo se ne parla sempre come vittima: le storie di violenza sono all’ordine del giorno nelle cronache, ma di contro questo crea anche molto dibattito e molta sensibilizzazione rispetto al ruolo della donna nella società. L’uomo è come se si sentisse privato di un privilegio che in realtà non si è mai guadagnato, ma che storicamente ha sempre acquisito e portato avanti. Si deve abituare a perdere, infatti, un vantaggio rispetto all’universo femminile che pensava dovesse essergli riconosciuto quasi per concessione divina, senza nessuna ragione. Per quanto riguarda Maria come protagonista femminile dello spettacolo, parliamo della storia di una bambina che a 3 anni viene portata al tempio ed è lì che per lei comincia a decidersi il suo destino: non può farci niente, che le piaccia o meno. A 12 anni viene data in sposa a un vecchio – questo ci dicono i Vangeli Apocrifi, da cui la vicenda de La Buona Novella è tratta – e in seguito, non interrogandola mai sulla sua volontà, viene eletta la madre di Dio in Terra. Se guardiamo la biografia di Maria dal punto di vista umano assistiamo a una sorta di abuso di potere nei suoi confronti, mentre sotto il profilo sacro o mistico tutto si spiega. Ci si muove costretti nel potere della società del tempo, il potere di Roma; la storia di Gesù è appassionante: un uomo che diceva delle cose non accettate facilmente dal potere e per queste ragioni messo a tacere. La Buona Novella è un’opera polifonica che, mediante metafora e allegoria, parla dell’arroganza del potere, il quale mal digerisce gli uomini troppo liberi di pensiero, intralcio per l’esercizio del potere stesso, sia esso famigliare, religioso o politico. La spiritualità, intrinseca nel momento in cui si parla di Gesù e della Madonna, è però qui contemplata nella sua dimensione terrena, laddove “il più grande rivoluzionario della Storia” resta prima di tutto un uomo, con una fisicità che non lo rende diverso dai suoi simili. Eppure, nonostante i suoi limiti, ogni essere umano può compiere imprese straordinarie e dar vita a nuovi corsi ogni volta che non si pone al primo posto ma si mette al servizio di un bene superiore, collettivo. 

 

 

“La storia di Gesù è appassionante: un uomo che diceva delle cose non accettate facilmente dal potere e per queste ragioni messo a tacere”

Neri Marcorè