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Arlecchino è tutti noi. Intervista ad Andrea Pennacchi

02 febbraio 2024

di Angela Consagra

Chi è Arlecchino?

Arlecchino è tante cose… Questo personaggio teatrale ha una storia antica, forse le sue origini sono addirittura demoniache, ma proprio a causa del suo essere molteplice possiamo affermare che Arlecchino alla fine è un po’ tutti noi: sono quelle componenti di astuzia e al tempo stesso di stupidità che a volte si mescolano tra di loro, tutti aspetti del carattere che abbiamo dentro. Ciò che ci appartiene è quel tentativo - rappresentato da questa maschera - di vivere la propria esistenza al meglio delle proprie possibilità, con il fatto, però, di imbattersi in tutta una serie di incidenti strada facendo.

 

 

“Ridere costituisce un sollievo: è il primo antidoto che abbiamo alla paura e al fallimento, fa proprio bene alla salute”

Andrea Pennacchi

 

 

Questo personaggio si può definire un classico del teatro, ma la vostra messinscena lo inserisce nella contemporaneità.

Sì, è stata una nostra scelta, ma la Commedia dell’Arte in realtà ha sempre aperto le porte al contemporaneo. Il teatro, quello vivo, ha sempre una finestra aperta sull’oggi. In particolare, per questo spettacolo ci misuriamo e dobbiamo lottare contro una tradizione, una volontà con cui ci dobbiamo rapportare e a cui in genere ci si attiene: l’abitudine di portare avanti le scelte seguendo le cose come sono sempre state fatte prima. Spesso per una nuova messinscena si pensa: “Ah, ma Arlecchino nel ‘700 si faceva così”, mentre noi fieramente ci opponiamo a questo ragionamento, che alla fine non è altro che una consuetudine e non ha niente a che fare con la tradizione. La tradizione, infatti, è un processo costante, capace di amalgamare passato e presente.

“La tradizione è un processo costante, capace di amalgamare passato e presente”

Andrea Pennacchi

 

 

In che modo Arlecchino può sopravvivere alla contemporaneità?

Lui sopravvive benissimo! È il suo talento principale quello di surfare sulle difficoltà e sui problemi; anzi, Arlecchino con la sua ironia e la capacità di sopravvivenza ci indica anche una via di uscita, soprattutto in momenti così complessi come quelli che stiamo vivendo. Arlecchino non sta per niente male, siamo noi che dobbiamo trovare la nostra strada, il modo giusto, per raccontarlo.

 

Che importanza ha oggi il potere della risata? Nelle Note di regia Marco Baliani parla delle prove e dice di avere immaginato, per tutta quella fase preparatoria, l’autore Carlo Goldoni seduto in sala a vedere il vostro lavoro, divertendosi e ridendo…

La risata è qualcosa di fondamentale. Prima di tutto, ridere costituisce un sollievo: è il primo antidoto che abbiamo alla paura e al fallimento, fa proprio bene alla salute. Un secondo aspetto positivo è che la risata, oltre al divertimento, implica anche una riflessione secondaria, un modo di esorcizzare il dolore che altrimenti verrebbe meno. Se io, per esempio, rido della morte, magari ne posso anche parlare, la posso affrontare oppure, se ironizzo sulla guerra, cerco di capirne le motivazioni, il modo in cui questa tragedia sia talmente impattante nelle nostre vite.

 

 

“Gli spettatori sono come dei compagni di lavoro: ogni spettacolo lo facciamo assieme, attori e pubblico, ed ogni rappresentazione cambia la sua temperatura emotiva”

Andrea Pennacchi

In tournée si incontrano gli spettatori più diversi: andando di città in città la reazione del pubblico cambia?

Ogni tipo di pubblico, in qualsiasi luogo, è un discorso a sé stante. È vero che si tratta di un Paese diviso per fasce regionali - l’Italia è un paese molto ampio - ma questa è la sua bellezza. Il problema può nascere dal punto di vista politico, ma non da quello della creatività e del pensiero libero. Ogni volta che cambi città o regione ti trovi davanti un pubblico diverso: la reazione alla comicità è, però, sempre forte. La comicità è un’esplosione dell’anima, l’anima si allarga quando si ride. Un po’ come nella Commedia greca: sdrammatizzando e ridendo la nostra interiorità ha l’occasione di ampliarsi e di riprendere parte della propria natura divina. La comicità è, dunque, una medicina universale. Credo che se ognuno di noi conservasse nella propria borsa il dono della leggerezza e dell’ironia, come fa Arlecchino, in alcuni casi aiuterebbe e ci potremmo salvare.

 

Il pubblico, che cos’è per lei? Una sua definizione.

Prima di tutto, il pubblico è il motore del teatro; inoltre, gli spettatori sono come dei compagni di lavoro: ogni spettacolo lo facciamo assieme, attori e pubblico, ed ogni rappresentazione cambia la sua temperatura emotiva. Il teatro non può esistere senza il pubblico: si crea una meccanica tale, per cui non basta soltanto la recitazione degli attori per fare il teatro. 

 

Per quanto riguarda il teatro, rispetto al cinema o alla Tv, permane ogni sera l’emozione dell’incontro diretto con il pubblico o, dopo tante repliche, subentra anche la ripetitività? 

L’emozione rimane sempre, sera dopo sera, altrimenti non avrebbe senso salire sul palco… Ma tutto è temperato dell’impegno delle prove che hai fatto in precedenza e, quindi, arrivo a questo appuntamento un po’ più sereno perché so di aver lavorato per l’incontro con gli spettatori. Mi dico: “Adesso mostrerò quello che ho preparato per loro,” un po’ come un cuoco che imbastisce una grande cena. L’emozione c’è, ma non è paralizzante: è un sentimento tale che amplifica l’esperienza, sia per me che per il pubblico.