Amleto gioca a calcio
09 luglio 2021
Da sempre il gioco del pallone accompagna la storia dell’umanità. Oltre a rivestire una parte fondamentale nella vita sociale dei cittadini, l’origine del calcio si ricollega, da subito, alla sfera del sacro e attinge, nel profondo, alla componente più religiosa della comunità. Fin dall’antica Grecia i ragazzi, appena terminato il tempo da dedicare allo studio, organizzavano appassionate partite con palle di cuoio imbottite di lana o piccoli semi, mentre per il popolo dei Maya il gioco era molto più di un semplice divertimento: si trattava di un rituale che conferiva alla palla giocata un alto valore simbolico, legato alla tradizione e ai riti propiziatori del sole. Questo gioco quasi cerimoniale aveva molto a che fare con il teatro, basti pensare che i giocatori spesso ricorrevano al travestimento e appendevano al collo degli oggetti in pietra che servivano da amuleti. I latini chiamavano ludi sia gli spettacoli sportivi che quelli teatrali e, durante le Olimpiadi, lo stadio e il teatro erano spesso contigui.
Calciatori e attori presentano ancora alcune analogie. L’atleta non recita un ruolo, non si serve della finzione della scena, ma anche lui usa il trucco e l’inganno attraverso, per esempio, il dribbling, l’arte di illudere e confondere l’avversario. Alcuni aspetti legano la ritualità del gioco del pallone a quella dello spettacolo, e in questo senso c’è stata un’evoluzione nello sport. Alle origini i gesti e le azioni rituali erano consumate in una specie di gruppo chiuso, oggi invece avvengono appositamente per il pubblico. L’esplosione gioiosa degli spettatori allo stadio ha aggiunto allo spettacolo sportivo un altro protagonista. C’è la partecipazione di un coro attivo che costituisce contemporaneamente due realtà: il pubblico, che è anche attore dell’avvenimento. È il segno di una capacità entropica di questo sport, di una sua abilità che parte dall’interno, di produrre spettacolo. Sono dei meccanismi che, sganciati da tutte le sue componenti commerciali, ricordano probabilmente alcuni riti primari, da cui nascono la tragedia e la commedia. Nei cori del teatro tragico greco e nell’ambito delle processioni dei villaggi c’era un forte coinvolgimento del pubblico: si giudicava e si dava un voto a un tragediografo piuttosto che ad un altro, addirittura si veniva pagati per mantenere un determinato ritmo, ci si addestrava per la giusta esecuzione.
La dimensione del gruppo è, poi, importante sia nello sport che nello spettacolo, nel senso che la Compagnia teatrale è, in fondo, un po’ come una squadra. L’allenatore è simile al regista che stabilisce una specie di copione da rispettare: decide chi sta in panchina e pensa alla strategia di quelli che sono in difesa, suggerisce chi deve attaccare per primo… Lo stesso accade in uno spettacolo: non si vince mai da soli. Il successo di ogni rappresentazione, davanti a un pubblico che esprime il suo calore con la risata o l’applauso, è il risultato del lavoro degli attori e di tutta la complessa macchina teatrale di chi sta dietro le quinte.
L’idea di legare lo sport al teatro nasce da un’idea letteraria di spettacolo legata al significato del termine recitare: l’italiano è l’unica lingua ad utilizzare questa parola, le altre collegano l’arte del palcoscenico al gioco. Gli scritti tecnici di uomini di teatro come Stanislavskij e i suoi riferimenti alle azioni fisiche, fino ad arrivare all’uso del corpo in Grotowski, confermano questa tesi. Talvolta lo sport è stato anche all’origine di creazioni musicali o teatrali, come il tennis e la sua attinenza con la musica, e, più in generale, la creatività è legata al movimento. L’attività teatrale è anche un atto fisico: il performer o la cantante d’opera sono degli atleti della voce e del corpo, i ballerini utilizzano in maniera predominante il lato fisico… Un altro collegamento tra spettacolo e sport può essere, infatti, anche l’improvvisazione. La memoria e l’intelligenza sono profondamente legate al movimento: infatti è nello stare insieme in scena, nel rapporto fisico tra gli attori, che si alimenta l’invenzione. Anche lo sport ha come elemento motore la comunicazione fisica: più della preparazione o della tecnica è importante la percezione del movimento del compagno, la scelta del ritmo con cui si imposta un’azione. Fondamentale però è lo scarto individuale e creativo: succede che capitino delle situazioni improvvise e bisogna essere capaci di reagire, così si compiono delle azioni di cui non ci si rende neanche esattamente conto, movimenti non preparati razionalmente ma che fanno parte di una specie di inconscio profondo. È il ricorso all’io, alla memoria profonda dell’attore di cui parla Stanislavskij. Questo aspetto è comune all’attore e al giocatore: deve scattare uno spazio di irrazionalità, è determinante. Maradona, quando raccontava l’azione dei suoi famosi goal non si ricordava esattamente tutti i passaggi, forse perché quei movimenti erano frutto di un’alchimia segreta.
L’epoca moderna ha tolto al gioco del calcio un po’ del suo misticismo, ma ne ha accentuato sicuramente la spettacolarità conferendo un fascino particolare a questo sport, quello di riuscire ad emozionare profondamente lo spettatore, anche il più profano. Alcune categorie di non-atleti – gli scrittori, i cantanti, gli attori – si uniscono periodicamente in una loro squadra Nazionale, mentre molti intellettuali hanno sempre seguito e scritto di questo sport, uno fra tutti Pier Paolo Pasolini, ‘fantasiosa ala destra’: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione”.
Angela Consagra