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Un ring di emozioni. Intervista a Lino Guanciale e Francesco Montanari

27 ottobre 2023

di Angela Consagra

Descriva con un aggettivo, o con poche parole, come vede il suo personaggio e il rapporto che instaura con l’altro personaggio sulla scena de L'uomo più crudele del mondo

MONTANARI: È un uomo di fronte a una grande occasione della vita: questa grande intervista che lui deve fare all’altro personaggio – l’armiere, che è una persona così rara da intervistare – deve diventare la sua opportunità di rivalsa. Sin da subito capisce, però, che l’intervista sarà sui generis. L’uomo che ha di fronte, Paolo Veres – interpretato magistralmente da Lino Guanciale – per parlare ha bisogno che lo si tratti da uomo a uomo e non da giornalista a intervistato. È una persona che mi mette in difficoltà, cercando di alzare il livello profondo e intellettivo della discussione. Tutto risulta molto allettante, se non fosse che quando si elevano le discussioni si possono toccare paragrafi della propria umanità molto difficili.

GUANCIALE: La parola che secondo me fotografa meglio il mio personaggio – dovendone scegliere una perché tante possono essere quelle pertinenti – è consumato. Consumato da tante cose… Dall’esistenza in sé, dall’odio e, in qualche modo, anche dalla passione con cui vive alcuni dei rapporti – pochi – di cui parla nello spettacolo: quello con il padre e, anche, quello con il suo demoniaco mestiere. Per quanto riguarda il rapporto che instaura con l’altro personaggio, a me è parso, fin dalla prima lettura del testo, come se si trattasse della richiesta di un patto di mutuo soccorso, anche se ovviamente paradossale. È come se lui stesse chiedendo aiuto per fare qualcosa, che si scoprirà soltanto alla fine dello spettacolo.

 

È difficile riuscire a interpretare testi di autori contemporanei?

GUANCIALE: Non credo che interpretare testi di autori contemporanei sia più complicato. Gli autori classici sono ormai ‘canonizzati’: esiste un’antologia a cui tutti attingiamo per le nostre letture e i progetti di lavoro, mentre al contemporaneo resta il fascino della scommessa. Avvicinarsi alla drammaturgia contemporanea significa immergersi in un territorio brulicante di idee, prendendo parte alla codificazione di un catalogo provvisorio della realtà di oggi, davvero vivo e vitale, da proporre allo spettatore. Credo che, da questo punto di vista, ci debba essere una responsabilità da parte del mondo dello spettacolo: quella di scommettere, sprofondare nel reale, cercare. Davide Sacco ha impostato questo lavoro in maniera straordinariamente onesta, chiedendo a noi interpreti il massimo della generosità e dell’energia possibili per portare in scena quella che io fatico a definire, una semplice vicenda: si tratta, piuttosto, di una sorta di ring, l’esercizio di una continua tensione reciproca tra i due personaggi.

“Il teatro è il manifesto di quello che noi siamo”

 

Francesco Montanari

 

 

MONTANARI: Il lavoro di Davide Sacco è meraviglioso, perché è una scrittura per ‘non attori’, intesi come coloro che si attaccano ad una tecnica recitativa. Per interpretarlo c’è bisogno di non recitare, altrimenti non sta in piedi nulla. Serve, piuttosto, una profonda disposizione umana a mettersi in gioco. 

 

Il tema dello spettacolo – una riflessione sulla crudeltà dell’essere umano e sull’istinto che prevale sulla ragione – è più che mai attuale? Che cosa si capisce della natura dell’essere umano?

GUANCIALE: Senz’altro lo è, lo sarebbe in ogni momento, ma adesso ancora di più. L’inganno vissuto dal nostro mondo, di una pace che era probabilmente soltanto di facciata, si è disvelato. Dopo una lunga epoca di tregua sui nostri territori di Paesi dominanti, oggi ci accorgiamo che la guerra con la sua violenza e la sua crudele logicità bussa alle nostre porte. Interrogarsi su quanto umana sia questa mostruosità è una responsabilità di ognuno di noi: umano non è sinonimo solo di bello e positivo, umano è tutto ciò di cui l’uomo è capace, tra cui anche la guerra e il male.

MONTANARI: Il testo è molto utile da questo punto di vista, perché ci sono due ruoli definiti con degli aggettivi sociali: l’armiere è per antonomasia un produttore di armi che guadagna, specula e si arricchisce sulla morte di altri, quindi socialmente è considerato un cattivo, mentre il giornalista rappresenta il ruolo di un buono. Però, il confronto tra i due farà cadere ogni sovrastruttura: l’armiere mostrerà delle luci e il giornalista rivelerà delle ombre. La parola crudeltà è molto complessa, perché piena di sfaccettature: a volte anche nel male l’essere umano può entrare in discussione con se stesso e arrivare ad essere meravigliosamente sublime. 

 

 

“Avvicinarsi alla drammaturgia contemporanea significa immergersi in un territorio brulicante di idee”

 

Lino Guanciale

Il teatro può aiutare a comprendere la realtà?

MONTANARI: Il teatro non dà risposte, ma pone delle domande, perché ha in sé tutti i mezzi della carnalità scenica. Gli attori sono esseri viventi che agiscono e lottano per un’ora o due in scena: sono lo specchio di carne dello spettatore. Prima che un attore, io stesso sono un grande spettatore: quando vedo uno spettacolo, qualcosa risuona in me toccando delle corde su cui posso vacillare e neanche lo sapevo, perché mascheravo i miei sentimenti. Il teatro è il manifesto di quello che noi siamo, soprattutto in una drammaturgia contemporanea che rispecchia il tempo, le esigenze e l’inconscio collettivo della società in cui vive.

GUANCIALE: Più di ogni altra espressione culturale, il teatro funziona come uno specchio che ci aiuta a capire le cose. Materialmente, infatti, ci si ritrova nello stesso luogo e nello stesso momento tutti insieme: attori e spettatori, come ‘specchi di carne’: esseri umani che incontrano altri esseri umani. Questa è la forza della comunicazione in presenza, che solo il teatro possiede.

 

Perché il pubblico dovrebbe vedere questo spettacolo?

GUANCIALE: Molti teatri stanno finalmente cercando, come proprio dovere istituzionale, di lavorare a fianco dei nuovi drammaturghi, mettendoli alla prova sul palcoscenico. Da spettatore, questo sarebbe il primo nodo di interesse per me: la scoperta di un nuovo drammaturgo, che è anche un giovane regista. In scena due attori della stessa generazione, che hanno fatto dell’impegno teatrale un valore irrinunciabile per il proprio percorso personale. Andrei a vedere lo spettacolo sapendo, anche dal poco che potrei averne letto, che uno dei temi principali è il ribaltamento di una prospettiva classica riguardo a ciò che è crudele e non lo è, a ciò che è bene e non lo è… I ribaltamenti di senso sono, senz’ombra di dubbio, l’aspetto che più mi attrae quando vado a teatro. Ecco perché spero davvero che le spettatrici e gli spettatori si muovano con l’ambizione di trovare qualcosa che li scuota profondamente e che li faccia andare via non del tutto pacificati.

MONTANARI: Il pubblico dovrebbe vedere questo spettacolo perché è un’esperienza entusiasmante. Tutte le sere vediamo le reazioni degli spettatori di fronte a noi: da quando si apre il sipario, c’è un movimento naturale delle schiene che si proiettano e propendono verso il palcoscenico. E se io e Lino ci sappiamo fare – e speriamo davvero di riuscire –, possiamo garantire una profonda esperienza umana… Bella o brutta lo diranno i posteri!