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Un occhio scrutatore. Intervista ad Alessandro Haber

09 novembre 2023

di Angela Consagra

Chi è Zeno Cosini?

Il protagonista de La coscienza di Zeno è un nostro specchio, in tutti noi c’è un po’ di inettitudine: lui dice che la vita non è bella né brutta, piuttosto afferma quanto sia originale. L’originalità, infatti, è data proprio dalla vita che è piena di imprevisti: momenti alti e bassi, amori e sentimenti, odi e rancori, bellezza e fantasia, delusioni e anche voglia di mettersi in gioco. A causa di tutte queste ragioni, gli spettatori si riconosceranno in questo spettacolo, faranno un esame a loro stessi e si interrogheranno: «Vediamo il percorso della mia coscienza: perché io sono qua? Come ci sono arrivato? Che fase dell’esistenza sto vivendo?»

 

Forse è proprio l’abbinamento sulla scena di Alessandro Haber-Zeno Cosini a colpire molto il pubblico. 

Mi fa piacere, anch’io ho pensato subito di essere ‘giusto’ per l’interpretazione di questo personaggio. Inizialmente ho deciso di accettare lo spettacolo per il titolo, in maniera istintiva e molto animalesca. Però, in seguito ho capito, improvvisamente tutto mi è stato chiaro: io sono Zeno, Zeno è Haber! Sul palcoscenico ho cercato di essere me stesso fino in fondo, è un ruolo che mi assomiglia tanto nella realtà. La storia affronta il mio mondo: è come se questo personaggio mi fosse saltato addosso, come se ci fossimo abbracciati reciprocamente. Sono convinto della mia scelta interpretativa: ho deciso di non caratterizzarlo, ma di aderire al personaggio totalmente, facendoci l’amore… Ogni tanto in scena cito degli episodi realmente accaduti, che non sono descritti ne La coscienza di Zeno: non sono stati scritti da Svevo, ma io li ho vissuti veramente. Ricordo, per esempio, un episodio dell’infanzia con mio padre, che è stata una figura fondamentale per me, anche se ci siamo frequentati poco. Io cerco di non recitare, ma di vivere i personaggi. È come se Zeno facesse la regia di questo spettacolo, è lui a dirigere la pièce e a condurre il pubblico in quel racconto: a volte si ferma nella narrazione e interviene un suo doppio, interpretato da Alberto Onofrietti, un attore bravissimo, così come tutto il cast. Zeno si interrompe, vede se stesso e segue il suo percorso: «Aspetta un attimo,» – dice – «forse non è andata così. Forse questa battuta va detta diversamente».

Foto Simone Di Luca

“Io sono Zeno, Zeno è Haber! Sul palcoscenico ho cercato di essere me stesso fino in fondo”

 

Alessandro Haber

 

 

È la prima volta che lavora con il regista Paolo Valerio?

Sì, ed è stata una regia davvero ispirata. Abbiamo condiviso tanto, anche con Monica Codena, la sua collaboratrice per i movimenti scenici. Si tratta di uno spettacolo dal taglio molto visivo, sembra di assistere a un film in bianco e nero. È presente un occhio scrutatore sul palcoscenico: rappresenta il mio occhio, ma è anche l’occhio che appartiene a tutti. Lo spettacolo è potente, non ci si annoia mai, perché accade sempre qualcosa. In scena è la verità che deve emergere: noi attori stiamo mentendo, nel senso che portiamo avanti una vicenda non reale, ma che al tempo stesso è il concentrato di grandi verità. Abbiamo la responsabilità di riuscire a dare delle emozioni agli spettatori.

«Siamo sempre appesi a un filo, senza rete e senza certezze»: questa è la sua descrizione del mestiere dell’attore.

Sono delle parole che rimangono ancora valide, ogni volta deve esserci un’emozione nell’affrontare il pubblico. Stare in scena è come fare l’amore: scopri sempre caratteristiche nuove, ogni donna con cui ti relazioni ha esigenze differenti e il sentimento cambia, perché tutto evolve. Nel corso della mia lunga carriera ho fatto tanti film, ho vinto premi, però il teatro è il luogo in cui divento artigiano di me stesso: sul palcoscenico coltivo la mia passione e cerco di dare il meglio, rispettando sempre il pubblico, che per me è sacro.

 

Nel titolo dello spettacolo è presente una parola importante: coscienza. Succede spesso di dimenticarsene?

Nella nostra esistenza accadono cose che turbano, o anche intimamente meravigliose: questi stati d’animo ti danno modo di fare vivere la coscienza. Di solito, invece, ci lasciamo andare alla quotidianità e il rischio è quello di interrogarci poco sulla nostra interiorità. Da questo punto di vista lo spettacolo è terapeutico, perché può essere utile per farci riflettere e fare risorgere la nostra profondità. 

 

 

“Il teatro è il luogo in cui divento artigiano di me stesso: sul palcoscenico coltivo la mia passione e cerco di dare il meglio, rispettando sempre il pubblico, che per me è sacro”

 

Alessandro Haber