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Un mondo visionario. Intervista a Monica Guerritore

26 gennaio 2024

di Angela Consagra

In che modo la storia di Ginger & Fred, che sta alla base del film del 1986 di Federico Fellini, l’ha colpita? Perché ha deciso di metterla in scena su un palcoscenico? 

Il mondo di Fellini è illusione e suggestione. È un titolo che crea affetto negli spettatori, ma che non era mai stato rappresentato a teatro. La nostra non è una mera trasposizione scenica, ma il tentativo di una vera e propria rilettura ‘politica’ dell’intuizione felliniana oggi più che mai attuale, con al centro il contesto televisivo e tutto il mondo economico che ci gira intorno. Una storia bellissima, in cui il grande regista forse aveva inserito tutte le figure, i tanti personaggi, le molteplici maschere presenti nei suoi film precedenti: è il racconto di una varia umanità, in grado di costruire una trama sentimentale. Fellini prevedeva già quelle malinconie e alcune problematiche di ciò che sarebbe accaduto, anni dopo, con l’avvento della TV. I due personaggi - Amelia Bonetti e Pippo Botticella in arte Ginger e Fred - due ex ballerini di tip tap che in passato avevano conquistato una certa fama, vengono invitati a partecipare allo show di Natale di una televisione privata, dove tutto è dominato dalla pubblicità. Loro accettano intenzionati a tornare in pubblico e a riprendere un amore interrotto, ma si scontreranno con i nuovi diktat della comunicazione. Lavorano di fretta e senza prove, mentre il loro amore alla fine rimane incompiuto: da qui una lieve malinconia, una umanità che aleggia su tutta la storia. Quello che Fellini racconta nel cinema, quel dietro le quinte tenero e malinconico io lo conosco bene. Lui è molto teatrale, materico, e il nostro spettacolo rimanda alla sua creatività povera e visionaria. Fellini considerava la televisione come un mezzo dal grande potenziale, però aveva previsto che sarebbe cambiata in peggio a causa del ruolo da padrona assunto dalla pubblicità. Il bombardamento pubblicitario trasforma lo spettatore in consumatore, rendendolo ignoto anche a se stesso. La mia scelta di questo testo è dovuta anche al fatto che probabilmente è la prima volta, dopo forti e decise figure femminili come Oriana Fallaci o Giovanna d’Arco, in cui interpreto un personaggio delicato.

“Una storia bellissima, in cui Fellini forse aveva inserito tutte le figure le molteplici maschere presenti dei suoi film precedenti: è il racconto di una varia umanità, in grado di costruire una trama sentimentale”


Monica Guerritore

 

 

Ginger e Fred: che personaggi-esseri umani sono?

Il tempo costa in TV e il tempo in TV rende... Fretta, fretta… Niente ha il tempo di generarsi, maturarsi, emergere: tutto è di seconda mano, tutto è approssimativo, tutto è orecchiato. Da qui la mia scelta di immaginare lo show televisivo a cui parteciperanno come la serata dei sosia, una umanità minore, ribalda e affamata, che per esistere si rispecchia nella TV, ne assume l’iconografia e il lessico. Pippo e Amelia, ovvero quei Ginger e Fred disorientati, smarriti e un po’ impauriti, sono inizialmente fuori posto nel gruppo di gente della televisione, ma sono anche loro di seconda mano: ballano su passi creati da altri. A loro, però, non basta la luce dei riflettori, è la magia portata dalla bellezza di quell’attimo sul palco che vogliono ritrovare. Con questa aspettativa i due affrontano le ore che precedono la registrazione dello show, parte di un gruppo che non li conosce e nel quale durante l’attesa si integrano. Come in Brecht, a cui Fellini è intimamente legato, è nell’osservazione di questo piccolo popolo, nella comprensione, nella partecipazione alle loro vite disvelate durante le ore di attesa dello spettacolo, nella loro umanizzazione prima di essere usati come ‘caricature’ e spediti al massacro, che emerge la pietas che spinge Fellini a scrivere e dirigere Ginger & Fred. Stesso sentimento che mi ha accompagnato in questo anno di lavoro, che mi ha fortemente motivato nel metterlo in scena. Scena ‘luogo’ dove si compie il nostro mestiere. Osservando noi stessi lassù potremo riconoscere il nostro stesso smarrimento gonfio di un malessere che stemperiamo con la leggerezza di una serata di festa. 

Dal punto di vista della regia e della scrittura, essere attori e contemporaneamente registi di se stessi, che tipo di difficoltà oppure di vantaggio comporta? È una dimensione che aiuta la comprensione dello spazio scenico?

È tutto un lavoro che si forma precedentemente nella mia mente, dentro la mia immaginazione: quando arrivo alle prove, praticamente lo spettacolo è già pensato, manca solo la messa in scena. Occorre un doppio sul palco che reciti le mie battute mentre sono in sala a dirigere, poi magicamente lo spettacolo diventa materico e acquista una sua realtà. L’unico problema è che io arrivo per ultima a dire la mia parte in scena perché voglio continuamente guardare da giù, dalla visuale della platea, se il risultato finale è come me lo immagino.

 

 

“Il pubblico è la molla, il motore e il riparo che mi permette di osare”

 

Monica Guerritore

 

 

Dopo aver affrontato a lungo il palcoscenico, il pubblico che valore assume? Lei è molto amata dal pubblico…

Sì, lo sento ed è una percezione meravigliosa… Il pubblico è la molla, il motore e il riparo che mi permette di osare. Non avendo timore del pubblico, non ho neanche paura di provare strade nuove, di imbarcarmi in esperimenti originali o avventure inedite perché sento di averlo con me, dalla mia parte. L’unica condizione è quella di riunirci, io e il pubblico, per raccontarci una storia e per riuscire a comprendere insieme questo mistero che è l’essere umano. Nel teatro si ritrovano i corpi veri, le parole autentiche, i pensieri fatti di carne: nel silenzio, nel buio.

 

 

“L’unica condizione è quella di riunirci, io e il pubblico, per raccontarci una storia e per riuscire a comprendere insieme questo mistero che è l’essere umano”

 

Monica Guerritore